Il proselitismo missionario di san Francesco Saverio
(di Cristina Siccardi) «Talmente grande è la moltitudine
dei convertiti», scriveva san Francesco Saverio, la cui festa liturgica
cade il 3 dicembre, «che sovente le braccia mi dolgono tanto hanno
battezzato e non ho più voce e forza di ripetere il Credo e i comandamenti nella
loro lingua». Sbagliava il gesuita missionario nel fare proselitismo? Ma
proselitismo non è forse sinonimo di missionarietà e missionarietà non è forse
evangelizzazione? Cristo stesso ordinò ai suoi discepoli: «Andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato» (Mt 28, 19-20). La Chiesa è nata, fin dal primo
istante, missionaria.
In un mese san Francesco Saverio giunse a battezzare 10.000 pescatori della
casta dei Macua, nel Travancore in India. Mentre era intento ad amministrare il
sacramento, ricevette la triste notizia che 600 cristiani di Manaar avevano
preferito lasciarsi uccidere piuttosto che tornare al paganesimo. Alla fine di
gennaio del 1545, con la nave che ogni anno partiva da Cochin per il Portogallo,
padre Saverio inviò tre lettere in Europa: una per il Re del Portogallo,
Giovanni III, la seconda all’amico gesuita Simone Rodriguez, la terza ai suoi
confratelli rimasti a Roma, accanto a sant’Ignazio di Loyola.
In quest’ultima parlava della conversione degli indiani proprio di
Travancore, del battesimo del principe di Ceylon e della speranza di conquistare
alla fede in Dio Uno e Trino l’arcipelago delle Celebes: «Ho fiducia in Dio,
nostro Signore di poter fare più di centomila cristiani quest’anno».
Concludeva chiedendo con insistenza l’invio di collaboratori missionari.
Questa lettera, lunga alcune pagine, fu copiata, diffusa e lanciata fra il
grande pubblico, dove suscitò viva emozione. Il sovrano del Portogallo chiese
subito che venisse letta dal pulpito di tutte le chiese del regno. Fu così che i
cuori dei fedeli si infiammarono. Testimoni, spesso mercanti provenienti
dall’Oriente, confermarono le buone notizie, affermando che maestro Francesco
faceva migliaia e migliaia di conversioni. Gli appelli ardenti di Padre
Francesco sollevarono lo zelo dei missionari. San Filippo Neri sognò di
imbarcarsi per l’India, mentre Jérôme Nadal decise di entrare nella Compagnia di
Gesù.
Tutto questo entusiasmo aumentò nel corso degli anni seguenti, grazie alle
magnifiche lettere del santo che venivano pubblicate a Coimbra, a Lovanio, a
Parigi, a Venezia, a Roma. Nelle sue opere Guillaume Postel, linguista,
astronomo e umanista francese, dette libero sfogo alla sua ammirazione per
Saverio «il quale ha fatto più nel poco tempo che è stato nell’Oriente della
Terra Santa, di quanto sia mai stato fatto in qualsiasi altra parte del
mondo…». Quando, due anni dopo la morte, si scoprì che il corpo era ancora
intatto, la sua fama di santità e di taumaturgo si diffuse ancor più. Le gesta
saveriane giungevano in Europa lasciando la gente interdetta: miracoli, tempeste
placate, morti risuscitati, profezie, dono delle lingue… e conversioni di
infedeli, chi diceva 500 mila, chi un milione.
Che cosa avrebbe detto il santo gesuita spagnolo di fronte alla seguente
dichiarazione? «Non è lecito convincere della tua fede: il proselitismo è il
veleno più forte contro il cammino ecumenico» (Papa Francesco, discorso
a braccio nell’Aula Paolo VI, 13 ottobre 2016). Il Vangelo è chiaro, non
possono esserci fraintendimenti. Infatti l’ecumenismo non è un’istanza
cristologica, ma protestante, nata agli inizi del Novecento e trasferita nella
Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II.
San Francesco Saverio è universalmente considerato pioniere delle missioni
dei tempi moderni, patrono dell’Oriente dal 1748, dell’Opera della Propagazione
della Fede dal 1904, di tutte le missioni con santa Teresina di Gesù Bambino di
Lisieux dal 1927. Il 15 agosto 1534 si consacrò fra i primi sette membri della
Compagnia di Gesù, insieme a sant’Ignazio Loyola, nella chiesetta di Santa Maria
di Montmartre, dove fece voto di castità, di povertà, di obbedienza e di
pellegrinare in Terra Santa o, in caso d’impossibilità, di andare a Roma per
mettersi a disposizione del Papa. Giunsero a Venezia, ma non fu possibile
salpare poiché era in corso la guerra fra veneziani e ottomani. Raggiunsero
allora Roma e qui sant’Ignazio volle Francesco suo segretario.
Nella primavera del 1539 ricevettero l’approvazione di papa Paolo III della
Compagnia di Gesù e furono ordinati sacerdoti. Nel 1540 il suo Superiore decise,
seguendo la richiesta del Re del Portogallo, di inviarlo nelle Indie Orientali
(per sostituire un confratello malato) in qualità di legato papale per tutte le
terre situate ad oriente del capo di Buona Speranza.
San Francesco Saverio prese dimora al collegio di San Paolo a Goa e qui
iniziò la sua missione instancabile, irrefrenabile…umanamente impossibile. Era
il 1542. Il suo apostolato iniziò a dare frutti fin dal principio e si fece
apprezzare ed amare fra i malati, i poveri, i ricchi, i prigionieri, gli
schiavi. Tutti cominciarono a chiamarlo «Santo Padre» e «Grande
Padre». Per le strade raccoglieva bambini e ragazzi e insegnava loro il
catechismo.
Oggi il Papa gesuita, rispondendo a chi gli ha domandato che cosa fare in
Sassonia, dove l’80% della popolazione non si dichiara appartenente a nessuna
convinzione religiosa, ha detto: «L’ultima cosa che tu devi fare è: “dire”.
Tu devi vivere come cristiano scelto, perdonato e in cammino. Tu devi dare
testimonianza della tua vita cristiana”, che così arriva al “cuore” dell’altro,
“e da questa afferma: «inquietudine nasce una domanda: ma perché quest’uomo,
questa donna, vive così? Questo è preparare la terra perché lo Spirito Santo,
che è quello che lavora, faccia quello che deve fare: lui deve fare, non tu”.
“La grazia è un dono – ha ribadito Francesco – e lo Spirito Santo è il dono di
Dio nel quale avviene la grazia: è il dono che ci ha inviato Gesù con la sua
passione, morte e resurrezione. Sarà lo Spirito Santo a muovere quel cuore, con
la tua testimonianza, perché ti domandi: e lì tu puoi, con molta delicatezza,
dire il perché, ma senza volere convincere» (http://agensir.it/quotidiano/2016/10/13/papa-francesco-ai-luterani-il-proselitismo-e-il-veleno-piu-forte-contro-il-cammino-ecumenico/).
E invece san Francesco Saverio convinceva e convinceva proprio con la parola,
così come aveva fatto Gesù, il Verbo fatto Carne («Et Verbum caro factum
est, et habitávit in nobis»), e da quel suo dire e dai sacramenti che
impartiva nascevano le opere di salvezza, le grazie e, talvolta, i miracoli. In
tutto questo immenso apostolato lo Spirito Santo lo assisteva, lo illuminava, lo
fortificava per compiere al meglio la sua missione.
Dopo cinque mesi di permanenza, il governatore delle Indie lo inviò al Sud,
qui riportò al cattolicesimo i pescatori di perle della costa del Paravi,
ricaduti nell’idolatria, i quali, otto anni prima, avevano chiesto il battesimo
per essere difesi dai musulmani. Con l’aiuto di interpreti tradusse negli idiomi
locali dottrina e preghiere. Per due anni viaggiò di villaggio in villaggio, a
piedi o su imbarcazioni di fortuna, affrontando insidie e pericoli di ogni sorta
per fondare chiese e scuole. Era maestro, medico, giudice, soprattutto pastore.
E aprì nuovi campi all’apostolato.
Predicò per quattro mesi nell’importante centro commerciale di Malacca;
visitò l’arcipelago delle Molucche, l’isola di Amboina, presso la Nuova Guinea e
si spinse fino all’isola di Ternate, estrema fortezza dei portoghesi, e più
oltre ancora, fino alle isole del Moro, al nord delle Molucche, abitate da
cacciatori di teste. Qui agli ospiti indesiderati si servivano pietanze
avvelenate, perciò gli suggerirono di portare con sé degli antidoti. Ma il suo
unico antidoto era Dio e Dio lo ricompensava dei Suoi doni. «Queste
isole», scrisse il 20 gennaio 1548, «sono fatte e disposte a meraviglia
perché vi ci si perda la vista in pochi anni per l’abbondanza delle lacrime di
consolazione… Io circolavo abitualmente nelle isole circondate da nemici e
popolate da amici poco sicuri, attraverso terre sprovviste di qualsiasi rimedio
per le malattie e prive di qualsiasi soccorso per conservare la vita»,
tuttavia era vivo, vivo per essere missionario di Verità.
Raggiunta Malacca, nel dicembre 1547 incontrò un fuggiasco giapponese,
Anjiro, che desiderava abbracciare il cristianesimo al fine di liberarsi dal
rimorso provocato da un delitto che aveva commesso. Saverio venne in tal modo
indotto ad approdare in Giappone in sua compagnia. Sbarcò a Kagoshima,
nell’isola di Kiu-Sciu, il 15 agosto 1548. Dal Giappone alla Cina. Il 17 aprile
1552 approdò sull’isola di Sanciano con un servo cinese convertito, Antonio di
Santa Fe. Qui si ammalò di polmonite e, senza cure, spirò in una capanna il 3
dicembre di quell’anno ripetendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!
0 Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!». Due anni più tardi fu traslato
prima a Malacca e poi a Goa, dove si venera nella chiesa del Buon Gesù.Paolo V
lo beatificò il 21 ottobre 1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12 marzo 1622.
Ignazio di Loyola aveva voluto creare una profonda comunione spirituale con
ognuno dei suoi missionari, perciò aveva loro raccomandato una corrispondenza
regolare, dedicando a questo tema addirittura un capitolo delle
Costituzioni e padre Francesco Saverio diede ascolto, nonostante la
difficoltà delle “poste” dell’epoca… Inviò una decina di lettere affidandole
alle navi che facevano ritorno in Europa: il viaggio dalle Molucche a Roma
durava circa tre anni, mentre dall’India a Roma almeno 9 mesi.
Nel suo epistolario emerge l’animo di «questa grande fiamma di amore che
brucia per sempre sulle rive dell’Estremo Oriente» come ebbe a definire Pio
XII il santo delle Indie, una fiamma che osava dire, sicuro di non
offendere perché parlava in Dio, come dimostrano queste eloquenti espressioni
non politicamente corrette, indirizzate a Giorgio III del Portogallo:
«Mettetevi in testa che se Dio vi ha dato l’impero delle Indie, è stato per
mettervi alla prova […]. Non si tratta di riempire le vostre casse con le
ricchezze dell’Oriente, ma di mostrare a Dio il vostro zelo, aiutando i
missionari». (Cristina Siccardi)
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