(di Alfredo De Matteo) Le decine di migliaia di persone
che il 19 maggio scorso hanno partecipato alla VIII
edizione della Marcia per la Vita hanno fatto risuonare
forte il loro no all’aborto volontario e alla legge 194, di
cui proprio in questi giorni ricorre il quarantennale. Per
sua natura il diritto alla vita o è assoluto oppure non è,
per cui nessuna norma che pretende di legittimare
in qualche modo l’omicidio dell’innocente nel grembo
materno può essere definita “buona”; men che mai la
sciagurata 194 che ha causato fino ad ora oltre
sei milioni di vittime innocenti ufficiali.
Eppure, nel mondo cattolico c’è ancora chi difende la
legge abortista, per di più dalle pagine del quotidiano
dei vescovi italiani. In un articolo apparso su Avvenire
del 17 maggio dal titolo «I 40anni della legge 194. Perché
l’aborto non è un diritto», Marcello Palmieri scrive: «Non
è un diritto, non è una libertà. È e resta una scelta
drammatica ed estrema, che il diritto consente nella
misura in cui un bene giuridico costituzionalmente
sancito si pone in insanabile contrasto con un altro di
pari valore: il diritto alla vita del concepito e quello alla
salute fisica e psichica della gestante. È il vero
spirito della legge 194 sull’interruzione volontaria di
gravidanza, la ratio -cioè l’obiettivo – che traspare da
tutto il suo testo e che tante pronunce giurisprudenziali
hanno confermato nel corso degli anni. Lo Stato
riconosce il valore sociale della maternità e tutela la
vita umana dal suo inizio, vi si legge nell’articolo 1 (…)
D’altronde la legge 194 pone (porrebbe, se fosse
davvero applicata ovunque per ciò che dice)
maglie molto strette all’aborto, imponendo ogni volta
il tentativo di rimuovere le cause per cui esso viene
chiesto e subordinando in ogni caso la soppressione
della vita nel grembo materno alla messa in atto
di procedure piuttosto rigide: colloqui, attivazione di
volontari, consulti medici, periodi di riflessione
obbligatori».
legge abortista, per di più dalle pagine del quotidiano
dei vescovi italiani. In un articolo apparso su Avvenire
del 17 maggio dal titolo «I 40anni della legge 194. Perché
l’aborto non è un diritto», Marcello Palmieri scrive: «Non
è un diritto, non è una libertà. È e resta una scelta
drammatica ed estrema, che il diritto consente nella
misura in cui un bene giuridico costituzionalmente
sancito si pone in insanabile contrasto con un altro di
pari valore: il diritto alla vita del concepito e quello alla
salute fisica e psichica della gestante. È il vero
spirito della legge 194 sull’interruzione volontaria di
gravidanza, la ratio -cioè l’obiettivo – che traspare da
tutto il suo testo e che tante pronunce giurisprudenziali
hanno confermato nel corso degli anni. Lo Stato
riconosce il valore sociale della maternità e tutela la
vita umana dal suo inizio, vi si legge nell’articolo 1 (…)
D’altronde la legge 194 pone (porrebbe, se fosse
davvero applicata ovunque per ciò che dice)
maglie molto strette all’aborto, imponendo ogni volta
il tentativo di rimuovere le cause per cui esso viene
chiesto e subordinando in ogni caso la soppressione
della vita nel grembo materno alla messa in atto
di procedure piuttosto rigide: colloqui, attivazione di
volontari, consulti medici, periodi di riflessione
obbligatori».
Verrebbe da ridere, se non fosse che in realtà ci
sarebbe da piangere lacrime amare nel costatare
la totale assenza di vergogna in chi scrive certe
corbellerie sulla pelle dei milioni di vittime della
norma abortista. Difficile infatti credere che
l’articolista, e chi condivide con lui certe idee
malsane rendendole pubbliche, non conosca
il contenuto della 194 e che la sua conoscenza
della legge si fermi alle ipocrite enunciazioni
di principio, del tutto sganciate dal suo nucleo
normativo.
sarebbe da piangere lacrime amare nel costatare
la totale assenza di vergogna in chi scrive certe
corbellerie sulla pelle dei milioni di vittime della
norma abortista. Difficile infatti credere che
l’articolista, e chi condivide con lui certe idee
malsane rendendole pubbliche, non conosca
il contenuto della 194 e che la sua conoscenza
della legge si fermi alle ipocrite enunciazioni
di principio, del tutto sganciate dal suo nucleo
normativo.
Innanzitutto, l’articolista mette arbitrariamente e
scandalosamente sullo stesso piano due diritti,
quello alla vita del concepito e quello alla salute
fisica e psichica della gestante, come se le
esigenze della donna, di qualunque tipo esse
siano, vista anche l’aleatorietà dei concetti stessi
di salute fisica e psichica, possano legittimamente
“gareggiare” con il diritto alla vita di colui che deve
nascere.
scandalosamente sullo stesso piano due diritti,
quello alla vita del concepito e quello alla salute
fisica e psichica della gestante, come se le
esigenze della donna, di qualunque tipo esse
siano, vista anche l’aleatorietà dei concetti stessi
di salute fisica e psichica, possano legittimamente
“gareggiare” con il diritto alla vita di colui che deve
nascere.
In secondo luogo, la ratio della legge 194 è proprio
quella di anteporre alla vita del bambino le
esigenze della madre, qualunque esse siano,
al punto che l’aborto è praticamente libero nei
primi tre mesi di gestazione e molto facile da
ottenere oltre tale assurdo limite.
quella di anteporre alla vita del bambino le
esigenze della madre, qualunque esse siano,
al punto che l’aborto è praticamente libero nei
primi tre mesi di gestazione e molto facile da
ottenere oltre tale assurdo limite.
Già, perché anche in presenza di una diagnosi
di malformazione (anche solo presunta) del
concepito, l’accento è posto sempre sulla madre
e sulle sue esigenze, non certo sul bambino; egli,
di fatto, non è titolare di diritti per la legge 194,
che da pieno potere di vita e di morte alla madre
del nascituro.
di malformazione (anche solo presunta) del
concepito, l’accento è posto sempre sulla madre
e sulle sue esigenze, non certo sul bambino; egli,
di fatto, non è titolare di diritti per la legge 194,
che da pieno potere di vita e di morte alla madre
del nascituro.
Per quanto riguarda le maglie molto strette all’
aborto che porrebbe l’iniqua 194, è sufficiente
leggere gli articoli 4 e 6 della legge per farsi un’
idea di quanto sia falso tale assunto.
aborto che porrebbe l’iniqua 194, è sufficiente
leggere gli articoli 4 e 6 della legge per farsi un’
idea di quanto sia falso tale assunto.
L’articolo 4 recita così: «Per l’interruzione
volontaria della gravidanza entro i primi
novanta giorni, la donna che accusi circostanze
per le quali la prosecuzione della
gravidanza, il parto o la maternità
comporterebbero un serio pericolo per la sua
salute fisica o psichica, in relazione al suo
stato di salute, o alle sue condizioni
economiche, o sociali o familiari, o
alle circostanze in cui è avvenuto il
concepimento, o a previsioni di anomalie o
malformazioni del concepito, si rivolge ad
un consultorio pubblico o a una struttura
socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione,
o a un medico di sua fiducia».
volontaria della gravidanza entro i primi
novanta giorni, la donna che accusi circostanze
per le quali la prosecuzione della
gravidanza, il parto o la maternità
comporterebbero un serio pericolo per la sua
salute fisica o psichica, in relazione al suo
stato di salute, o alle sue condizioni
economiche, o sociali o familiari, o
alle circostanze in cui è avvenuto il
concepimento, o a previsioni di anomalie o
malformazioni del concepito, si rivolge ad
un consultorio pubblico o a una struttura
socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione,
o a un medico di sua fiducia».
Sfidiamo chiunque, compreso l’articolista, a
trovare un solo motivo per il quale non sia
possibile per una donna accedere all’aborto;
tant’è che non esiste una casistica ufficiale
delle cause per cui viene richiesto dal momento
che ciò risulterebbe del tutto inutile, stante
le infinite combinazioni previste dalla legge
ai fini dell’accettazione della domanda di aborto.
trovare un solo motivo per il quale non sia
possibile per una donna accedere all’aborto;
tant’è che non esiste una casistica ufficiale
delle cause per cui viene richiesto dal momento
che ciò risulterebbe del tutto inutile, stante
le infinite combinazioni previste dalla legge
ai fini dell’accettazione della domanda di aborto.
Per cui, anche le procedure “piuttosto rigide”
che imporrebbe la 194, di cui scrive il
nostro, vanno ad infrangersi nella norma
generale, ben più cogente, che riconosce
alla donna il diritto di abortire. Il problema
maggiore che il popolo della vita deve
fronteggiare, e non da oggi, non è costituito
tanto dal fuoco nemico, che sarebbe sciocco
non mettere in preventivo, ma da quello amico;
ossia, da chi dovrebbe denunciare le leggi
ingiuste e guidare la rivolta contro i nemici
della vita invece di fare l’apologia della
legge 194 e strizzare loro l’occhiolino.
(Alfredo De Matteo)
che imporrebbe la 194, di cui scrive il
nostro, vanno ad infrangersi nella norma
generale, ben più cogente, che riconosce
alla donna il diritto di abortire. Il problema
maggiore che il popolo della vita deve
fronteggiare, e non da oggi, non è costituito
tanto dal fuoco nemico, che sarebbe sciocco
non mettere in preventivo, ma da quello amico;
ossia, da chi dovrebbe denunciare le leggi
ingiuste e guidare la rivolta contro i nemici
della vita invece di fare l’apologia della
legge 194 e strizzare loro l’occhiolino.
(Alfredo De Matteo)
https://www.corrispondenzaromana.it/lo-spirito-buono-della-legge-194-secondo-il-quotidiano-avvenire/
https://www.corrispondenzaromana.it/marcia-per-la-vita-un-fiume-umano-per-le-vie-di-roma/
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