Wednesday, May 23, 2018

Lo spirito buono della legge 194 secondo il quotidiano Avvenire . 40 anni di legge 194, sei milioni di vittime














(di Alfredo De Matteo) Le decine di migliaia di persone
 che il 19 maggio scorso hanno partecipato alla VIII
edizione della Marcia per la Vita hanno fatto risuonare
 forte il loro no all’aborto volontario e alla legge 194, di
 cui proprio in questi giorni ricorre il quarantennale. Per
sua natura il diritto alla vita o è assoluto oppure non è,
 per cui nessuna norma che pretende di legittimare
 in qualche modo l’omicidio dell’innocente nel grembo
materno può essere definita “buona”; men che mai la
sciagurata 194 che ha causato fino ad ora oltre
sei milioni di vittime innocenti ufficiali.
Eppure, nel mondo cattolico c’è ancora chi difende la
legge abortista, per di più dalle pagine del quotidiano
 dei vescovi italiani. In un articolo apparso su Avvenire
 del 17 maggio dal titolo «I 40anni della legge 194. Perché 
l’aborto non è un diritto», Marcello Palmieri scrive: «Non
 è un diritto, non è una libertà. È e resta una scelta 
drammatica ed estrema, che il diritto consente nella 
misura in cui un bene giuridico costituzionalmente 
sancito si pone in insanabile contrasto con un altro di
pari valore: il diritto alla vita del concepito e quello alla 
salute fisica e psichica della gestante. È il vero
 spirito della legge 194 sull’interruzione volontaria di
 gravidanza, la ratio -cioè l’obiettivo – che traspare da 
tutto il suo testo e che tante pronunce giurisprudenziali 
hanno confermato nel corso degli anni. Lo Stato 
riconosce il valore sociale della maternità e tutela la 
vita umana dal suo inizio, vi si legge nell’articolo 1 (…)
 D’altronde la legge 194 pone (porrebbe, se fosse 
davvero applicata ovunque per ciò che dice) 
maglie molto strette all’aborto, imponendo ogni volta
 il tentativo di rimuovere le cause per cui esso viene 
chiesto e subordinando in ogni caso la soppressione 
della vita nel grembo materno alla messa in atto 
di procedure piuttosto rigide: colloqui, attivazione di 
volontari, consulti medici, periodi di riflessione 
obbligatori».
Verrebbe da ridere, se non fosse che in realtà ci
sarebbe da piangere lacrime amare nel costatare
 la totale assenza di vergogna in chi scrive certe
 corbellerie sulla pelle dei milioni di vittime della
 norma abortista. Difficile infatti credere che
l’articolista, e chi condivide con lui certe idee
malsane rendendole pubbliche, non conosca
il contenuto della 194 e che la sua conoscenza
della legge si fermi alle ipocrite enunciazioni
di principio, del tutto sganciate dal suo nucleo
 normativo.
Innanzitutto, l’articolista mette arbitrariamente e
 scandalosamente sullo stesso piano due diritti,
quello alla vita del concepito e quello alla salute
 fisica e psichica della gestante, come se le
esigenze della donna, di qualunque tipo esse
 siano, vista anche l’aleatorietà dei concetti stessi
 di salute fisica e psichica, possano legittimamente
“gareggiare” con il diritto alla vita di colui che deve
 nascere.
In secondo luogo, la ratio della legge 194 è proprio
 quella di anteporre alla vita del bambino le
esigenze della madre, qualunque esse siano,
 al punto che l’aborto è praticamente libero nei
 primi tre mesi di gestazione e molto facile da
ottenere oltre tale assurdo limite.
Già, perché anche in presenza di una diagnosi
di malformazione (anche solo presunta) del
concepito, l’accento è posto sempre sulla madre
 e sulle sue esigenze, non certo sul bambino; egli,
di fatto, non è titolare di diritti per la legge 194,
che da pieno potere di vita e di morte alla madre
 del nascituro.
Per quanto riguarda le maglie molto strette all’
aborto che porrebbe l’iniqua 194, è sufficiente
leggere gli articoli 4 e 6 della legge per farsi un’
idea di quanto sia falso tale assunto.
L’articolo 4 recita così: «Per l’interruzione 
volontaria della gravidanza entro i primi 
novanta giorni, la donna che accusi circostanze
 per le quali la prosecuzione della 
gravidanza, il parto o la maternità 
comporterebbero un serio pericolo per la sua
 salute fisica o psichica, in relazione al suo 
stato di salute, o alle sue condizioni 
economiche, o sociali o familiari, o 
alle circostanze in cui è avvenuto il 
concepimento, o a previsioni di anomalie o 
malformazioni del concepito, si rivolge ad 
un consultorio pubblico o a una struttura 
socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione,
 o a un medico di sua fiducia».
Sfidiamo chiunque, compreso l’articolista, a
trovare un solo motivo per il quale non sia
 possibile per una donna accedere all’aborto;
 tant’è che non esiste una casistica ufficiale
 delle cause per cui viene richiesto dal momento
 che ciò risulterebbe del tutto inutile, stante
 le infinite combinazioni previste dalla legge
 ai fini dell’accettazione della domanda di aborto.
Per cui, anche le procedure “piuttosto rigide”
 che imporrebbe la 194, di cui scrive il
nostro, vanno ad infrangersi nella norma
 generale, ben più cogente, che riconosce
alla donna il diritto di abortire. Il problema
 maggiore che il popolo della vita deve
fronteggiare, e non da oggi, non è costituito
 tanto dal fuoco nemico, che sarebbe sciocco
 non mettere in preventivo, ma da quello amico;
 ossia, da chi dovrebbe denunciare le leggi
 ingiuste e guidare la rivolta contro i nemici
della vita invece di fare l’apologia della
legge 194 e strizzare loro l’occhiolino.
 (Alfredo De Matteo)
https://www.corrispondenzaromana.it/lo-spirito-buono-della-legge-194-secondo-il-quotidiano-avvenire/




https://www.corrispondenzaromana.it/marcia-per-la-vita-un-fiume-umano-per-le-vie-di-roma/

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